domenica 20 settembre 2015

Esperienze da Pedone... ecco perché non guido



Esperienze da pedoni: via Dante, Taranto, ore 15,30. Strada quasi vuota. 
Un auto ferma al semaforo. Una Fiesta rossa sta arrivando portando con se urla e strepiti.
 "T'ho detto che non c'è bisogno di tutta questa distanza di sicurezza lo vuoi capire deficiente!!!!" urla una donna. 
Allora la Fiesta si avvicina pianissimo alla macchina ferma.
 "O mio Dio fermati ora lo tamponiamo!!! vuoi capire la distanza di sicurezza???" continua a urlare la donna come se stesse in punto di morte. 
"Ziiiiiii così mi fai agitare!" grida il ragazzo al volante.
Io nonostante il semaforo favorevole evito di attraversare... non si sa mai, aspetto che vadano via.
Intanto il semaforo diventa verde. "QUANDO PENSI DI PARTIREEE!" urla la donna.
Il ragazzo in preda al panico fa spegnere la macchina e la zia grida "con che marcia parti cretino! sbrigati che ora ci tamponano!"
"Ziiiiii non mi devi fare agitare" urla il ragazzo in una via Dante vuota alla controra. 

"Scendi!" fa lei "ora ti faccio vedere come si fa"... così mesto lui scende e lascia la guida alla zia.
Povero diciottenne ovunque tu sia hai la mia vicinanza e comprensione!

 Capito perché non guido anche se ho la patente? 
Ora non me lo chiedete più!


2 commenti:

  1. Anch'io ho la patente ma non guido. Ho la patente ma non la trovo più. Parlo sul serio. E’ da qualche parte, probabilmente tumulata sul fondo di qualche cassetto, ma non ricordo esattamente dove. L'ho a suo tempo conseguita perchè per il sentire comune prenderla è sinonimo di autonomia, crescita, indipendenza e quindi costituisce in tal senso una tappa imprescindibile.
    Uno dei tanti riti di moderna iniziazione per il neo maggiorenne, che la società, la famiglia, gli amici, i colleghi chiedono tacitamente di superare.
    Ho guidato un’ auto, per pura curiosità, sì e no una decina di volte in tutta la mia vita, subito dopo aver superato l’ esame pratico.
    Guidare però mi ha presto annoiato; il mettermi al volante ha spento del tutto il mio già sbiadito interesse verso questo accessorio che mi ha lasciato da sempre sostanzialmente indifferente. Difatti, sin da piccolo, ho considerato le auto con totale distacco, come un ingombro ferroso del tutto estraneo al mio vivere, che pur facente parte della vita di milioni di persone, non avrebbe mai riguardato la mia. In seguito, tale sospetto si è effettivamente rivelato fondato, divenendo così certezza. A tutt’ oggi non conosco gli optional, le prestazioni, il design, le serie, la classe, la versione euro, la C1, la C2 (… a me basta che la squadra di calcio Napoli, in pochi anni, sia passata dalla C1 alla zona Champions!).
    Non mi sforzo neanche di distinguere un modello da un altro, una casa produttrice dall’altra.
    Le auto che vengono usate dai miei familiari e conoscenti, per esempio, le distinguo per colore: bianca, blu, grigia, nera. A parità di colore, la grandezza: grande o piccola. L’ auto rappresenta per me l’antitesi della libertà e non guidare, come afferma un giornalista ed opinionista di casa nostra, che pure non ha il mito della velocità, è “l’ unico lusso che mi concedo”.
    Questo al contrario di ciò che le pubblicità in tv puntualmente ci propinano: capelli al vento di sorridenti personaggi in macchine sfreccianti tra canyon infiniti; auto che solitarie attraversano, quasi come sospese dal suolo, viali deserti ed silenziosi. Immagini di ipotetici sogni che fanno da contraltare alla nostra realtà quotidiana, fatta di smog, ingorghi, parcheggi insufficienti, incidenti, ritardi, travasi di bile, clacson.
    Ricordo che sin dalla prima volta che mi misi alla guida mi colpì non poco il fatto che da conducente non potevo soffermarmi a guardare, a mio piacimento, fuori dal finestrino. E non per personale propensione alla distrazione, ma per un’ esigenza, solenne e congenita, di guardarmi intorno, di scrutare le facce e raccogliere le voci delle persone, i particolari e le forme dell’ ambiente intorno a me.
    Per il povero automobilista ci sono troppe regole da seguire, troppe strisce di troppi colori da rispettare, troppa attenzione da prestare, troppi aspetti pratici a cui badare, troppi grattini e tagliandi, troppe spese a cui far fronte, troppe ztl, troppe restrizioni, troppi giorni alterni ed orari prestabiliti in cui poter circolare, troppi divieti, troppo traffico, troppo stress, troppi vincoli. Troppi “troppo” insomma, che fanno quella degli automobilisti una delle categorie più tartassate da tanti punti di vista. Il tutto mentre, da un lato, il Marchionne nazionale continua a convincere l’italiano medio che la produzione e la vendita delle auto può rappresentare a tutt’ oggi la locomotiva dell’ industria nazionale e, dall’altro, il codice della strada, per il quale la divinità laica dalle 4 ruote ha prevalenza e priorità su tutto e tutti. A quanto appena detto, si aggiunge poi il fatto che vivo a Napoli, una città che, nonostante tutto, conserva a tutt’ oggi la sua vocazione nello spostarsi a piedi oppure in alternativa “che ‘e mezz”, dove la moltitudine di facce che l’ attraversano sono, nel loro placido e rinnovato agitarsi, il vero magma di superfice.

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  2. Una città dove tale vocazione vive e si custodisce anche nelle pieghe del lessico e delle espressioni della lingua: “fare nà cammenata”, “spassiare”, “fare o’ giro a largo”, “avanzà o’ pass”. E dove ancora la “cabina-giostra” di una funicolare, il vagone sferragliante della circumvesuviana, la brulicante fermata di un autobus urbano sono nel contempo specchio e metafora stessa della vita.
    Tutt’al più un domani, se mai dovessi comperare un’auto per un’oscura esigenza che al momento mi sfugge completamente, mi sa che farei come il cantautore Guccini, che non ha mai preso la patente: una volta dal concessionario, al venditore di turno chiederei di provare il modello da me prescelto sedendomi dal lato passeggero, gustandomi così a pieno la sua espressione perplessa ed interrogativa.

    Daniele - daniele.avallone@yahoo.it

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